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lunedì 5 aprile 2010

Morti e Sepolti (1981)


Riposa in pace, Dan O' Bannon: Hollywood non ha dato adeguato lustro a colui che ha concepito Alien e Atto di Forza, per non parlare di quegli stracult anni Ottanta che sono Space Vampires e Il Ritorno dei Morti Viventi, che si è unito nientemeno che a John Carpenter per creare Dark Star, ha lavorato a Heavy Metal (il film) e ha scritto The Long Tomorrow, il principale banchetto visivo al quale attinse Scott per Blade Runner.. per un intero decennio il fantasy Usa, deriso nei seriosi Settanta, ha marciato sicuro guidato dalla tua mano di sceneggiatore cinico e romantico al contempo; gli hai ridato appetibilità usando lo sguardo di un adolescente inquieto ed allucinato o di un bambino visionario per interpretare le preoccupazioni degli adulti: nei tuoi film infatti l'umorismo grottesco, financo infantile, e i risvolti fantascientifici della vicenda sono percorsi da una vena di inquietudine esistenziale, incentrata su tematiche come la morte, la malattia e la decadenza del corpo e della mente. E' questa sintesi che ha riavvicinato quindicenni e cinquantenni a perle sporche come Alien o Il Ritorno dei.. e adesso acuisce il dolore per la tua scomparsa, avvenuta il 17 Dicembre 2009.
Ti dedicheremo perciò qualche segnalazione, partendo dal misconosciuto Morti e Sepolti: la storia del paesello di Potter's Bluff, nel New England, dove i visitatori sono accolti con linciaggi di massa e riappaiono qualche tempo dopo con personalità nuove, adatte a farli apparire quali membri di lunga data dell'"accogliente" comunità locale; le indagini dello sceriffo Dan Gillis (Farentino) conducono prima alle onoranze funebri del vecchio Dobbs (Albertson) e poi alla sua stessa moglie(Anderson), conturbante e serafica maestrina elementare con un libro di vodoo nascosto in camera da letto.. Agghiacciante soluzione a sorpresa a guarnire adeguatamente questo thriller sovrannaturale diviso tra nebbie gotiche ed eccessi gore degni di qualsiasi Venerdì 13 coevo. Ciò che più piace è proprio il disinteresse della vicenda ad imboccare il tunnel della soluzione se non negli ultimi minuti, lasciandoci per più di un'ora in balia delle resurrezioni inspiegabili che punteggiano il ritratto placido di Potter's Bluff, popolato da brava gente che ogni tanto si diverte a appiccare fuoco all'occasionale avventore con l'accompagnamento di riprese video: questo oscillare straniante tra un andamento complessivamente contenuto e gli stacchi sulla violenza collettiva tengono lo spettatore in continua fibrillazione e conducono ad un finale che fa pensare ad H.P. Lovecraft, specie al suo racconto Reanimator. Eccentrico, ben confezionato e tutt'altro che centrato, Morti e Sepolti è una macabra sorpresa che merita una notte davanti al televisore. Disponibile su dvd inglese.

domenica 28 marzo 2010

Il 13° Guerriero (1999)


Siamo in un’era storica imprecisata, comunque è passato, e questo è l’importante. Un nobile arabo, Ahmed Ibn Fadlan Ibn Alabas Ibn Rashid Ibn Amad, per gli amici Ahmed e per i vichinghi Iben (Antonio Banderas) finisce in esilio per aver concupito la moglie di un nobile più importante di lui. Durante il suo esilio, incontra dei vichinghi con cui fa amicizia, e un giorno arriva un messaggero vichingo che li avvisa che ci sono dei demoni che stanno un po’ massacrando tutta la popolazione. La maga di turno che è li accanto fa una profezia, sono necessari tredici guerrieri, di cui uno non vichingo. Ahmed quindi è costretto a seguirli, impara la loro lingua, e si ritrova a dover combattere contro i Wendol, mangiatori di uomini morti e rubatori delle teste dei cadaveri uccisi. Dopo essersi fatti massacrare per varie volte, alla fine Ahmed e quelli che restano dei dodici guerrieri, i più rappresentativi, vanno da un’altra indovina, che dice di cercare i Wendol sotto terra e ammazzarne la divinità e il leader. Il capo dei vichinghi durante l’incursione riesce ad uccidere la donna che incarna la loro divinità, ma si fa avvelenare, dopo di ché quando i Wendol ritornano in forze, riesce, morente, ad uccidere il loro leader. Il capo dei vichinghi muore sul trono, da re, e Ahmed torna in patria a raccontare le avventure che ha passato.
Ok, come potete capire dalla sinopsi, il film non mi è piaciuto. L’intreccio narrativo è debole, ad essere gentili, e scontatissimo, tranne quando parla del drago che i Wendol possiedono e che poi si avvera inesistente, non si sa che fine fa, il che fa incazzare!! Le scene d’azione per la maggior parte passano al buio o nella nebbia, visto che i Wendol attaccano solo in questi casi, quindi non compensano il resto, e soprattutto anche fa irare il fatto che il grande capo dei Wendol si faccia uccidere in due secondi, e che è stato più difficile uccire la donnina sega che incarna la divinità che avvelena pure il capo dei vichinghi!!!! A parte queste cose che fanno adirare, il resto del film si appoggia su stereotipi, l’incomprensione tra due civiltà iniziali, ma l’arabo poi si adegua, capisce le loro usanze, e bla bla bla, insomma l’etnofolkore alla Avatar, con la differenza che almeno Avatar ti foga, e invece questo ti lascia indiferente, tranne alcune incazzature di cui sopra. Insomma non è da vedere neanche se hai voglia di una boiata!
(Fabio)

sabato 13 marzo 2010

La Cosa (1983)


Negli anni Zero, a furia dei vari "Texas Chainsaw Massacre", "Nightmare on Elm Street" e così via la pratica di rifare i classici dell'horror è stata, se non accettata, perlomeno imposta con la semplice quantità. Tre decenni prima, se ti cimentavi con un "testo sacro", un qualche merito aggiuntivo alla tua opera lo dovevi pur apportare: il conferimento di una nuova direzione alla trama, la reinterpretazione del sottotesto sociopolitico dell'originale, per dire. Era una faccenda seria. E anche se producevi materiale in grado di competere con la fonte, ti beccavi le roncolate dei critici filiologi.
Reduce dal successo di "Fuga da New York", John Carpenter firmò la sua rielaborazione radicale di "La Cosa da un Altro Mondo" e fu accusato di sciatteria e superficialità: il remake andò male al botteghino e l'autore fu retrocesso per sempre alla produzione di film di serie b. Hubris? No, una passione sconfinata per il capostipite filmico e al contempo per il racconto alla comune base, "Chi Va Là?" di John Campbell. Così il prode Carpenter rimase fedele alla trama del secondo, rendendo "La Cosa"- 1982 un lavoro perfettamente prescindibile dal modello targato 1951 e il suo carotone spaziale.
Antartide, 1982: un organismo alieno atterrato 100.000 anni fa giace tra i ghiacci finché un team norvegese non lo scopre e ridesta; è un simbionte, capace di fagocitare e replicare l'aspetto delle sue vittime, eliminando così buona parte degli esploratori e spingendo i superstiti ad un massacro interno fomentato dalla paranoica incertezza delle apparenze. Quando la creatura si sospinge fino all'avamposto americano nelle vicinanze, ricomincia la partita con il genere umano, segnatamente l'elicotterista Jim McReady (Kurt Russel) e il Dottor Blair (Wilford Brimley); stavolta il suo obiettivo successivo all'assimilazione è ripercorrere all'indietro la rotta dei rifornimenti fino alla civiltà.
Questa versione è un capolavoro di tensione, meritevole di prestigiose retrospettive da parte della critica pentita, oltre che del culto di una vasta comunità di appassionati casalinghi, grazie alla rara fusione ottimale di tutti gli ingredienti. Una regia e un montaggio in stato di grazia impostano la storia come un avvincente western dove l'assedio pellerossa al fortino è rimpiazzato da una minaccia proteiforme e silenziosa che si insinua fra e dentro gli uomini: peggio del coevo "Alien" è capace quando scovata di violentare i corpi ospiti fino a convertirli in grottesche armi organiche da brandire contro gli umani; e gli effetti speciali in lattice e pistoni idraulici reggono ottimamente ancora oggi, spezzando l'impostazione rigorosamente classica delle inquadrature del maestro Dean Cundy con lampi di caos visivo allucinante. Ma ciò che la imprime nella memoria è il messaggio incredibilmente nichilista per un film di genere, libero da ogni compromesso accomodante con il pubblico: la curata sceneggiatura di Bill Lancaster e il gioco di squadra dell'ottimo gruppo di attori rivelano come la squadra americana, e di riflesso l'umanità tutta, sia percorsa da una negatività nei rapporti che si rivela il fattore cruciale della sua rovina, prima ancora dell'attacco alieno; si arriva così al finale magistrale e desolante con l'impressione di aver testimoniato una tragedia classica, più che un horror disimpegnato, complici le musiche di un Morricone mai così avvilito.
Imprescindibile per gli amanti delle atmosfere suggestive o dei contenuti significativi, come per quelli del gore più sfrenato e dell'azione cupa e spettacolare.

venerdì 12 febbraio 2010

Bad Boys (1995)


Gli agenti della polizia di Miami, Marcus Burnett(Martin Lawrence) e Mike Lowrey (Will Smith), stanno indagando su una gang di trafficanti che ha recentemente messo a segno un grosso colpo. Max, una prostituta amica di Mike, viene invitata a casa dall'autista della suddetta banda, il quale di nascosto aveva sottratto un pacchetto di eroina: all'improvviso, irrompe la banda e uccide senza esitazione Max e l'autista, mentre Julie, l'amica fotografa che si era portata con sè, riesce a fuggire miracolosamente. Julie riesce, tramite i contatti della neodefunta amica, a raggiungere la casa di Mike, ma avviene qui un singolare scambio di ruoli allorchè la bella fotografa crede Marcus, un ordinario e 'accasato' agente con famiglia, Mike, un ricco e scapolo donnaiolo. Il capo ordina a Marcus di mantenere così le cose per non traumatizzare troppo la testimone. Così, con le inevitabili conseguenze "familiari" dell'ordine impartito, parte un'impegnativa caccia all'uomo, condita con le impareggiabili gag dei due protagonisti...
Michael Bay (Pearl Arbor, Armageddon, Transformers ...) non si smentisce con questo bel film d'azione, alla fine non troppo "nuovo" nei contenuti ma decisamente di buon livello per quanto riguarda il cast e la sceneggiatura. Di questo, una specie di Miami Vice "black-style", ci sarà nel 2003 un seguito, modernizzato e sfavillante, ma il primo, come spesso succede, rimane decisamente il migliore. Verdetto: sonore risate e azione dall'inizio alla fine!

lunedì 8 febbraio 2010

Miriam Si Sveglia a Mezzanotte (1983)


In anni di vampiri emo e floscissimi, chiunque voglia una botta di (non)vita farebbe bene ad andarsi a recuperare "The Hunger"(versione originale del neppure disprezzabile "Miriam.."), datato 1983. Perchè il succhiasangue, si sa, riflette come uno specchio deformato l'epoca nella quale si muove; e allora ammirate questa coppia di vampiri interpretata in gran tiro da Catherine Deneuve e David Bowie, due yuppie belli, amorali e vacui come il decennio che cavalcano in completo nero e occhiali da sole.
A dire il vero l'unica Notturna di serie A è la donna, Miriam Blaylock appunto, che dai vari flashback apprendiamo aver perlomeno 4000 anni; il maschio, John, è un umano reso "temporaneamente" immortale dal sangue della compagna, per poterla accompagnare in qualche secolo di carneficine, ed è destinato dunque ad un agghiacciante invecchiamento precoce una volta esaurito l'effetto del plasma. Dopo che (in una scena memorabile per pathos trattenuto) l'effetto collaterale ha avuto luogo, Miriam individua nella giovane ricercatrice genetica (Sarandon) che ha provato a curare John la nuova partner con la quale giocare per i prossimi 500 anni e la inizia al suo sangue: ma la mortale saprà resistere alla tentazione di un'apparente vita eterna o sarà corrotta dal potere di Blaylock come è stato per John?
"The Hunger" è il debutto alla regia di Tony Scott, fratello di quell'altro Scott ancora più famoso. E' un film non per tutti, prodotto di quei tardi Settanta-primi Ottanta nei quali si sfornavano pellicole con poca storia e tanta atmosfera, complice il travaso ad Hollywood di giovani registi svezzati a pane e pubblicità patinate: si pensi ad Alan Parker, Adrian Lyne e i suddetti Scott Brothers. Ciò infatti che più frustra il generico appassionato di horror è l'accoppiamento di uno stile visivo folgorante come quello di Scott con una trama nebulosa e personaggi per i quali è difficile provare un sussulto di simpatia, rendendo la visione un'esperienza discontinua: dopo un avvio folgorante, nella quale i Blaylock cacciano prede umane in una discoteca di Manhattan dove suonano dal vivo i Bauhaus ("Bela Lugosi's Dead", of course!), e il decadimento accellerato di Bowie, si passa ad un'ora e più di corteggiamento tra le due protagoniste, molto languido e ironico ma per nulla dinamico; i personaggi sembrano muoversi sulle loro traiettorie prestabilite senza particolari scossoni e soltanto il finale memorabilmente inquetante risolleva l'insieme.
Eccovi perciò un consiglio: guardatevelo a mezzanotte, appunto, con la mente stordita da un incenso potente, un disco dei Siouxsie and the Banshees di sottofondo e la ragazza dark sottobraccio; possibilmente dopo "Blade Runner": ritroverete il familiare melange scenografico tra maniero gotico inglese e cityscape futurista newyorchese, sempre tinteggiato di arancio o blu e squisitamente decadente (Tonino sapeva rubare dai più grandi; dal fratello, appunto). Poi, per chiarire tutti i misteri della storia, leggetevi l'omonimo romanzo di Whitley Strieber.
Un fantasy adulto, cinico e ironicamente macabro, come non ne vedrete in giro al giorno d'oggi (eccetto che per "Lasciami entrare").

giovedì 28 gennaio 2010

Monsieur Ibrahim e i Fiori del Corano (2003)


Parigi, anni 1960. Il ragazzo Moise Shmidt (Pierre Boulanger) abita solo con il padre, che non ha per lui nessuna considerazione e anzi in più occasioni gli rinfaccia di essere peggiore del fratello, andato via con la madre di Moise. Moise trova l’affetto del vecchio signor Ibrahim, che gestisce un negozio vicino a casa sua. Dopo il suicidio del padre, Moise verrà adottato da Ibrahim, e comincerà ad apprezzare la religione di Ibrahim e il libro sacro del Corano, fino a seguire il nuovo padre nella sua terra d’origine, la Turchia.
Tratto dal best seller francese di Eric Emmanuelle Shmidt, il film ha un’impostazione letteraria, e segue le vicende dei protagonisti, dando per questo motivo poco spazio agli esterni, soprattutto nella prima parte in cui i personaggi si trovano a Parigi, appena tratteggiata storicamente. Questo puo’ essere giusto anche per rendere la situazione difficile e asfissiante del giovane Moise. In tutti i casi nel film domina essenzialmente la trama, che è molto buona nella prima parte e anche originale, ma dal momento in cui i due protagonisti vanno in Turchia, si ha l’impressione che il film si regga sempre più su clichets ed è soprattutto poco convincente il finale. Peccato, considerate le aspettative che lo spettatore arriva a nutrire nella prima parte del film. Buono il cast degli attori nel suo insieme, pero’ a volte non si capisce cosa dicono gli attori, soprattutto Omar Sharif (il film l’ho visto in lingua originale).
(Fabio)

martedì 26 gennaio 2010

Ossessione (1945)


Considerato il capostipite del neoralismo italiano, Ossessione narra la vicenda di un tradimento da parte di una donna, Clara Calamai, nei confronti di suo marito, Juan de Landa, sposato per sicurezza economica. Giovanna (Calamai) inizia ad avere una relazione torbida ed esasperata, una volta che Gino (Massimo Girotti) arriva come vagabondo allo spaccio dei coniugi, in provincia di Ferrara. La storia in sè è molto forte, sia per le scelte tecniche, sia grazie ai bravissimi attori che con la semplicità di un solo sguardo riescono a far capire in un attimo quello che sta per avvenire. Basta pensare ad una delle scene iniziali del film: Giovanna si trova in cucina, è seduta su un tavolo, a gambe aperte, senza preoccuparsi degli sguardi altrui, decide di fischiettare, annoiata; nel mentre arriva Gino che con molta disinvoltura si appoggia allo stipite della porta: i due si guardando in maniera così intensa e sensuale che già allora lo spettatore può capire quale sarà il seguito. Se pensiamo ad altri film importanti del neoralismo, come ad esempio "Ladri di Biciclette" di De Sica, questo ci apparirà molto diverso: appartengono tutt'e due alla stessa corrente, ma mentre il primo racconta il degrado di un uomo costretto a vagare per Roma alla ricerca della sua bicicletta, unica "ricchezza" nello squallore della sua vita, il secondo ci racconta di una coppia, per quanto piccolo borghese, benestante e senza gravi problemi finanziari. Lo stesso Gino, nonostante si capisca che sia senza una lira, non appare mai sofferente fisicamente o alla disperata ricerca di cibo, come invece capita alla maggior parte dei protagonisti di film neoralisti di quell'epoca. Quello che infatti rende Ossessione una pellicola degna di nota, è la forza espressiva e l'eliminazione di ogni velo di ipocrisia. Giovanna per quanto stia bene economicamente, vive una vita orribile, chiusa, oppressa, monotona: importante infatti la contrapposizione fatta dal regista nel mettere da una parte spazi chiusi, sintomo di oppressione e squallidezza, dall'altra enormi campi e città aperte, rappresentanti la libertà, la via di fuga, l'inizio di una nuova vita.
(Blasco)

domenica 24 gennaio 2010

Ong Bak II - La Nascita del Dragone (2010)


Siamo nella thailandia del secolo XV. Un colpo di stato uccide il comandante Lord Sihadecho(Santisuk Promsiri) e la consorte, mentre il giovane figlio Tien (Tony Jaa) riesce a fuggire. Tien poco dopo sta per seguire la stessa sorte dei genitori quando viene liberato da guerriglieri decisi a ripristinare una parvenza di governo. Il capo di questi, vedendo le potenzialità insite nel piccolo, diventa il suo maestro di vita e di arti marziali, dandogli solide basi su cui fondare la propria vendetta, un piatto che va servito decisamente freddo...
Questa volta è lo stesso Jaa a dirigere il film, forte del successo (non certo dovuto alla profondità del copione)del primo episodio, di cui sembra essere una sorta di prequel. Cambia la storia, ma il succo è lo stesso: a volte ci vuole la forza per risolvere l'altrui ingiustizia. Belle le ambientazioni e spettacolari ovviamente i combattimenti, la trama si presenta leggermente più articolata anche se non sempre logica. E' da apprezzare, infine, questo esempio di cinema orientale, ma limitarsi a guardare il film e non mettere in pratica i "dettami" del regista-protagonista!

State of Play (2009)


Due uomini molto diversi tra di loro, il trasandato giornalista del Washington Globe Cal McAffrey (Russel Crowe) e il politico con un passato di eroe nella Gerra del Golfo Steven Collins (Ben Affleck), sono uniti da una vecchia amicizia e da un comune interesse professionale: la PointCorp, multinazionale che affitta al governo americano i mercenari da usare in Iraq. Collins dirige un'inchiesta governativa sugli affari sporchi del colosso; McAffrey indaga per il suo giornale su alcune misteriose morti avvenute nella capitale, finendo nel giro di giorni a combattere nemici molto potenti col solo aiuto dell'affascinante Delia (Rachel McAdams), blogger di redazione.
State of Play è stato adattato da un'ottima miniserie inglese (che speriamo il tam tam diffonda ora in Italia) e sfrutta bene il materiale di partenza, fornendo due ore di intrattenimento serrato e intelligente: due attributi che la media dei thriller hollywoodiani non riescono proprio a far combaciare. Merito di una sceneggiatura che fonde i molti snodi della storia in modo funzionale, riflettendo in modo non scontato sulla necessità per le generazioni di giornalisti di aiutarsi tramandare la loro missione civile, sempre più disprezzata; e di tre attori che ormai davamo per "bolliti" dopo una marea di scadenti blockbuster: Crowe ottimo nonostante l'arrivo all'ultimo minuto, McAdams una giornalista seria (altro che Lois Lane) e Affleck sorprendente.
Finalmente si può dire che la mania americana di rubare/adattare ha dato buoni frutti.
(Blasco)

giovedì 21 gennaio 2010

Il Gabinetto del Dottor Caligari (1920)


Un film muto. é incredibile, se pensiamo quanti pregiudizi esistono sui film muti. C'è chi non li guarda perchè "vecchi", e chi dice che tanto sono troppo "noiosi". Eppure questo film ha fatto la storia, per lo meno quella cinematografica. Film simbolo della corrente Espressionista, meglio nota nella pittura, the cabinet of Dr Caligari rappresenta un'intera generazione tedesca stufa e disillusa, dopo che la classe dirigente, a causa della guerra, aveva portato il Paese nel baratro più profondo sia economicamente che psicologicamente. Certo i tempo duri del secondo dopo guerra dovevano ancora arrivare, ma già allora (anni 20 inizio anni 30) non si scherzava tra debito pubblico e inflazione galoppante. Carl Mayer e janowitz ideatori della trama del film, vollero delineare con geniali metafore due figure fondamentali: il popolo oppresso e il potere, pieno della propria superiorità violando ogni diritto umano e libertà. Come avrete già capito la trama è molto attuale. Nel dettaglio la storia si articola in un paesino della Germania dove un imbonitore, durante una fiera, mostra un grande prodigio: un ragazzo che dorme da più di 20 anni,con l'incredibile capacità di svelare il futuro delle persone. Due uomini, che stanno assistendo alla presentazione, decidono di metterlo alla prova: uno di loro chiede quando muorirà e il ragazzo, nonostante sia ad occhi chiusi, risponde "domani". In effetti l'uomo muore e si parte così alla ricerca dell'assasino, fino a che non scopriamo che è lo stesso imbonitore che commissiona gli omicidi al povero ragazzo incosciente, ipnotizzato nel sonno. In conclusione abbiamo giustizia: il mandante viene catturato, anche per il fatto che si scopre che non solo è un criminale ma è anche un pazzo fuori di testa. Il potere assoluto, demagogico e incurante del bisogno del popolo viene quindi definitivamente messo a tacere. Tutto bene fin qui, peccato che nella realtà questa trama non abbia mai trovato la luce in quanto il regista a cui la UFA ( la casa di produzione cinematografica tedesca più importante all'epoca) affido la sceneggiatura a Robert Wiene: direttore che una volta avuto in mano l'intero soggetto ebbe la magnifica idea di ribaltare il tutto; alla fine del film infatti scopriamo che il ragazzo rimasto vivo (il quale nel frattempo aveva cercato in tutti i modo di scoprire cosa era successo all'amico) non è altro che un pazzo rinchiuso in manicomio che si diverte nel tempo libero a raccontare storie poco probabili.Infine come se tutto questo non bastasse scopriamo anche che l'imbonitore non è altro che il medico del manicomio che ha in cura il povero malato. Una volta ancora è il potere ha comandare.Nonostante tutto questo, il film ha serbato comunque qualcosa di molto prezioso: la propria scenografia, quella originale. Uno spazio del tutto inesistente fatto di spigoli, guglie, montagne acuminate da far paura, ombre e angoli acuti dappertutto. Uno spettacolo che non poteva essere realizzato se non in bianco in nero. Tutto questo non solo riesce a cominicare l'angoscia e la disperazione di quei tempi, ma anche uno spirito nuovo, rivoluzionario, che non voleva altro che troncare ciò che i padri gli avevano insegnato.
(Serena)

domenica 17 gennaio 2010

Avatar


Jake Sully (Sam Worthington) è un marine che ha perso l'uso delle gambe e viene scelto per una missione sul pianeta Pandora in sostituzione del fratello neodeceduto: egli dovrà vestire i panni di un indigeno locale, un Na'vi, e guadagnatosi la fiducia dei nativi convincerli ad abbandonare il gigantesco albero dove sorge il loro villaggio, sotto il quale si trova il più grande giacimento del costoso minerale, vero motivo della presenza umana su Pandora. Il giovane, però, scoprirà un mondo variopinto e affascinante al punto da obbligarlo a scegliere se difendere la terra dei Na'vi o contribuire a raderla al suolo...
Torna il grande regista James Cameron, che ricordiamo come autore di Titanic e Terminator, questa volta cimentandosi con quella che racconta a Wired è stata la sfida della sua vita: battere George Lucas! Si lascia allo spettatore il verdetto, ma possiamo sicuramente affermare che è una lotta tra titani: il mondo di Pandora è ricco e variopinto, descritto fin nei minimi dettagli dalle più avanzate tecniche di animazione, reso reale dall'uso del 3D e da una sceneggiatura, checchè ne dica la solita critica di circostanza, non banale arricchito, come nella saga del rivale, di un linguaggio inventato per l'occasione! Un vero capolavoro!

domenica 10 gennaio 2010

Buddy Buddy (1981)



Trabucco (Walter Matthau) è un killer professionista, incaricato di uccidere tre testimoni di un importante processo di corruzione: riesce a uccidere i primi due, ma per il terzo la protezione della polizia si scatena, l’unica possibilità è ucciderlo con un fucile da cecchino dall’albergo adiacente al tribunale dove la futura vittima è chiamata a testimoniare. La sua quindi è una corsa contro il tempo e purtroppo Trabucco non ha tenuto conto del fattore vicini invadenti e rompiballe: accanto alla sua camera, infatti, risiede un aspirante suicida, Victor Clooney(Jack Lemmon) che, lasciato dalla moglie (Paola Prentiss), decide di farla finita con la vita. I suoi tentativi maldestri spingono a Trabucco a cercare di salvarlo, perché ciò non interferisca con il suo obiettivo, ma scoprirà che è molto più difficile liberarsi di Victor, che non fare il killer…
L’ultimo film del grande regista Billy Wilder, è una buona commedia che regge il confronto con i suoi film precedenti: buon ritmo dettato anche dalla colonna sonora di Shifrin, buona le recitazione dei due protagonisti, un po’ meno quella degli attori, come la moglie di Clooney, e il suo amante, probabilmente dovuto anche ad un cattivo doppiaggio. Infatti risulta un po’ debole il momento centrale del film, in cui Trabucco per liberarsi di Victor, lo accompagna alla clinica dove si trova la moglie, una clinica del sesso guidata dall’amante, il dottor Hugo Zuckerbrot. Ma il resto del film riesce a sopperire e strappa delle risate, se non altro ci si affeziona ai personaggi di Trabucco e di Victor. Buon film per una serata tranquilla da commedia.

(Fabio)

sabato 9 gennaio 2010

La Nona Porta (1999)


Nel suo campo, Dean Corso (Johnny Depp) è il migliore: tutti i collezionisti più fanatici di libri si rivolgono a lui per il ritrovamento di libri molto rari e pregiati, nonostante la sua proverbiale mancanza di scrupoli. Uno di questi collezionisti, Boris Balkan (Frank Langella), vuole a tutti i costi avere in suo possesso le tre copie restanti di un libro diabolico, “Le nove porte del regno delle ombre”, scritto da un satanista, Aristide Torchia, pare in collaborazione con lo stesso Lucifero: questo libro nasconderebbe degli indizi per evocare il principe degli inferi, cosa a cui Balkan è molto interessato. Non appena Dean inizia la ricerca, però, comincia una serie di morti per chiunque si trova in possesso di questi tre libri: lo stesso Dean si salva solo grazie ai vari interventi di una donna misteriosa (Emmanuelle Seigner), che lo segue nelle sue ricerche…

Per gli amanti di Polanski, senza dubbio è un film da non perdere: il regista mette in scena un film molto bello dal punto di vista formale, donandogli un’atmosfera molto giusta, dal punto di vista delle inquadrature, degli ambienti in cui domina non certo per caso il colore rosso, dal ritmo della colonna sonora angosciante. La trama costruita abbastanza bene, scorre, nonostante alcuni punti forse prevedibili, in cui il genere thriller esce allo scoperto nei suoi clichets: si può a volte indovinare cosa succede, e questo non gioca molto a suo favore. Ma per gli amanti del genere il film è sicuramente da visionare, e soprattutto è immancabile l’ottima performance di Johnny Depp e Frank Langella!

(Fabio)

mercoledì 6 gennaio 2010

Crank 2 High Voltage (nelle sale italiane da 21/08/ 2010)


Ritorna l'ipo-surrenalico e scalmanato killer Chev Chelios (Jason Statham) questa volta alle prese con il boss messicano noto come El Hurron (il furetto), il quale dopo che Chev, alla conclusione del primo Crank, era volato giù da un elicottero uccidendo (nella caduta) l'odiato Verona, ne ha raccolto il corpo privo di sensi e ha pensato bene di sostituirne il cuore con uno artificiale... a carica elettrica; ben presto il meccanismo di ricarica automatica si rompe costringendo lo sfortunato killer a cercare in qualunque modo fonti d'elettricità ad alto voltaggio e parallelamente il malavitoso messicano che gli ha rubato letteralmente il cuore...
Se il primo era adrenalinico nel vero senso della parola, un film-videogioco, High Voltage è frenetico e quasi tarantinesco, una specie di miscuglio Pulp Fiction e Dal Tramonto all'Alba in avanti-veloce, più violento e ritmico, si prende il fiato nei primi minuti e lo si butta fuori soltanto ai titoli di coda. Da Tarantino, infatti, riprende appunto il gusto per l'insensato e il violento, ma aggiunge una riscrizione completa del concetto di action-movie, da cui non si può certo pretendere una trama logica! Veramente ben fatto!

lunedì 4 gennaio 2010

Get Rich or Die Tryin' (2005)


Jim Sheridan firma la regia della biografia del giovane rapper Curtis Jackson, in "arte" 50 Cent, e, non ritenendo nessuno all'altezza di ricevere l'onore-onere di interpretarlo, affida a Curtis stesso il ruolo di attore protagonista.
Il film narra, ovviamente da una prospettiva poco disincantata e quasi vittimistica, le vicende che hanno portato Curtis (qui Marcus Greer) a divenire l'uomo trascorso e saggio che è ora, a partire dall'infanzia, tra le strade e lo spaccio di droga, e passando per l'attentato che gli ha fatto guadagnare ben 9 pallottole in corpo, ma che lo ha rinnovato anche nello spirito.
Tuttavia, pur con un colorito e abbastanza limitato copione, tra i numerosi "fuck" e "shit", il film non è poi così banale come ci si aspetterebbe dal titolo (in realtà tratto dal suo primo album), considerando che è il primo lavoro del rapper afroamericano, noto ma anche apprezzato per i poco originali videoclip musicali in cui fa sfoggio della propria (notevole) muscolatura e delle proprie (altrettanto notevoli) conoscenze a colpi di rime e hip-pop.
In realtà è già successo con 8Mile, con una sorta di razzismo inverso di un bianco discriminato da neri, ma qui ci si trova davanti a qualcosa di nettamente diverso e meno melenso, una sorta di action-biografia epinefrinica, che fa impallidire ancora di più il già cereo viso del mentore Eminem. Buona visione!

sabato 2 gennaio 2010

Hardware (1990)


Per tutti gli amanti del cyberpunk vecchia maniera, cioè quel filone fantascientifico a base di robot, realtà virtuale e innesti elettronici nella fragile carne umana, ecco una pellicola da recuperare via internet su dvd inglese. Trattasi di un cult movie britannico a basso budget ed alto tasso di inventività visiva, esordio di un regista che all'inizio degli anni Novanta si stava muovendo dalla regia di videoclip (memorabili quelli per i Fields of the Nephilim, storica band gothic rock d'Albione) alla realizzazione di lungometraggi politico-fantasy: dopo il debutto, l'apartheid-horror "Dust Devil" e poi.. appena la preproduzione di un adattamento de "L'Isola del Dottor Moreau", sottratto dalle sue mani dai finanziatori dopo quattro giorni di riprese e consegnato al mestierante John Frankenheimer; il risultato è l'ononimo pasticcio con Marlon Brando e Val Kilmer. Comunque, lo sfortunato e talentuoso regista sta mettendo insieme i fondi per un "Hardware 2" prossimamente in arrivo, e allora giustizia sarà fatta.
Intanto ripercorriamo il capostipite in tutta la sua datata gloria vintage: la storia è quella del Mark 13, sofisticato robot da combattimento figlio di un futuro dove la Terra si rosola nell'Apocalisse di una guerra perenne. L'androide giace sparpagliato in mille pezzi nel deserto del Mojave, finché un nomade non lo trova e porta alla città-stato più vicina; comprato da un soldato di passaggio come regalo per la fidanzata scultrice, la macchina scomposta si ridesta e autoassembla nell'appartamento della medesima, iniziando un gioco di gatto e topo dalle conseguenze mortali.
Sulla trama minimale poco da dire, ciò che colpisce è soprattutto il look del film: se i produttori del primo "Terminator" ne avessero affidato la regia a Dario Argento anziché James Cameron, questo sarebbe il risultato; un fantahorror decadente ed europeo, dai colori sgargianti e dalla morale beffarda e disillusa, in luogo della fotografia geometrica e dell'umanesimo ottimista dell'americano Jim. In questo universo, dove sono gli umani la prima minaccia alla loro stessa esistenza, l'ironia macabra abbonda e le divagazioni dalla storia principale si fanno insistenti se non fastidiose. In ogni caso ciò che appunto difetta alla storia è abbondantemente superato nel compartimento visivo (effetti speciali mal invecchiati a parte) e nei cospicui riferimenti alla cultura industrial degli anni Ottanta: sullo schermo tv della protagonista scorrono frammenti di propaganda della setta misterica Psychic Youth del cantante Genesis P.Orridge; Lemmy dei MotorHead e Iggy Pop fulminano con apparizioni brevi e calzanti; la bella colonna sonora incorpora Ministry e P.I.L. Insomma, materiale di prima scelta per qualsiasi fan del genere. E per i registi alle prime armi in cerca di un esempio su come intrattenere con pochi quattrini.

Blasco