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domenica 28 marzo 2010

Il 13° Guerriero (1999)


Siamo in un’era storica imprecisata, comunque è passato, e questo è l’importante. Un nobile arabo, Ahmed Ibn Fadlan Ibn Alabas Ibn Rashid Ibn Amad, per gli amici Ahmed e per i vichinghi Iben (Antonio Banderas) finisce in esilio per aver concupito la moglie di un nobile più importante di lui. Durante il suo esilio, incontra dei vichinghi con cui fa amicizia, e un giorno arriva un messaggero vichingo che li avvisa che ci sono dei demoni che stanno un po’ massacrando tutta la popolazione. La maga di turno che è li accanto fa una profezia, sono necessari tredici guerrieri, di cui uno non vichingo. Ahmed quindi è costretto a seguirli, impara la loro lingua, e si ritrova a dover combattere contro i Wendol, mangiatori di uomini morti e rubatori delle teste dei cadaveri uccisi. Dopo essersi fatti massacrare per varie volte, alla fine Ahmed e quelli che restano dei dodici guerrieri, i più rappresentativi, vanno da un’altra indovina, che dice di cercare i Wendol sotto terra e ammazzarne la divinità e il leader. Il capo dei vichinghi durante l’incursione riesce ad uccidere la donna che incarna la loro divinità, ma si fa avvelenare, dopo di ché quando i Wendol ritornano in forze, riesce, morente, ad uccidere il loro leader. Il capo dei vichinghi muore sul trono, da re, e Ahmed torna in patria a raccontare le avventure che ha passato.
Ok, come potete capire dalla sinopsi, il film non mi è piaciuto. L’intreccio narrativo è debole, ad essere gentili, e scontatissimo, tranne quando parla del drago che i Wendol possiedono e che poi si avvera inesistente, non si sa che fine fa, il che fa incazzare!! Le scene d’azione per la maggior parte passano al buio o nella nebbia, visto che i Wendol attaccano solo in questi casi, quindi non compensano il resto, e soprattutto anche fa irare il fatto che il grande capo dei Wendol si faccia uccidere in due secondi, e che è stato più difficile uccire la donnina sega che incarna la divinità che avvelena pure il capo dei vichinghi!!!! A parte queste cose che fanno adirare, il resto del film si appoggia su stereotipi, l’incomprensione tra due civiltà iniziali, ma l’arabo poi si adegua, capisce le loro usanze, e bla bla bla, insomma l’etnofolkore alla Avatar, con la differenza che almeno Avatar ti foga, e invece questo ti lascia indiferente, tranne alcune incazzature di cui sopra. Insomma non è da vedere neanche se hai voglia di una boiata!
(Fabio)

sabato 13 marzo 2010

La Cosa (1983)


Negli anni Zero, a furia dei vari "Texas Chainsaw Massacre", "Nightmare on Elm Street" e così via la pratica di rifare i classici dell'horror è stata, se non accettata, perlomeno imposta con la semplice quantità. Tre decenni prima, se ti cimentavi con un "testo sacro", un qualche merito aggiuntivo alla tua opera lo dovevi pur apportare: il conferimento di una nuova direzione alla trama, la reinterpretazione del sottotesto sociopolitico dell'originale, per dire. Era una faccenda seria. E anche se producevi materiale in grado di competere con la fonte, ti beccavi le roncolate dei critici filiologi.
Reduce dal successo di "Fuga da New York", John Carpenter firmò la sua rielaborazione radicale di "La Cosa da un Altro Mondo" e fu accusato di sciatteria e superficialità: il remake andò male al botteghino e l'autore fu retrocesso per sempre alla produzione di film di serie b. Hubris? No, una passione sconfinata per il capostipite filmico e al contempo per il racconto alla comune base, "Chi Va Là?" di John Campbell. Così il prode Carpenter rimase fedele alla trama del secondo, rendendo "La Cosa"- 1982 un lavoro perfettamente prescindibile dal modello targato 1951 e il suo carotone spaziale.
Antartide, 1982: un organismo alieno atterrato 100.000 anni fa giace tra i ghiacci finché un team norvegese non lo scopre e ridesta; è un simbionte, capace di fagocitare e replicare l'aspetto delle sue vittime, eliminando così buona parte degli esploratori e spingendo i superstiti ad un massacro interno fomentato dalla paranoica incertezza delle apparenze. Quando la creatura si sospinge fino all'avamposto americano nelle vicinanze, ricomincia la partita con il genere umano, segnatamente l'elicotterista Jim McReady (Kurt Russel) e il Dottor Blair (Wilford Brimley); stavolta il suo obiettivo successivo all'assimilazione è ripercorrere all'indietro la rotta dei rifornimenti fino alla civiltà.
Questa versione è un capolavoro di tensione, meritevole di prestigiose retrospettive da parte della critica pentita, oltre che del culto di una vasta comunità di appassionati casalinghi, grazie alla rara fusione ottimale di tutti gli ingredienti. Una regia e un montaggio in stato di grazia impostano la storia come un avvincente western dove l'assedio pellerossa al fortino è rimpiazzato da una minaccia proteiforme e silenziosa che si insinua fra e dentro gli uomini: peggio del coevo "Alien" è capace quando scovata di violentare i corpi ospiti fino a convertirli in grottesche armi organiche da brandire contro gli umani; e gli effetti speciali in lattice e pistoni idraulici reggono ottimamente ancora oggi, spezzando l'impostazione rigorosamente classica delle inquadrature del maestro Dean Cundy con lampi di caos visivo allucinante. Ma ciò che la imprime nella memoria è il messaggio incredibilmente nichilista per un film di genere, libero da ogni compromesso accomodante con il pubblico: la curata sceneggiatura di Bill Lancaster e il gioco di squadra dell'ottimo gruppo di attori rivelano come la squadra americana, e di riflesso l'umanità tutta, sia percorsa da una negatività nei rapporti che si rivela il fattore cruciale della sua rovina, prima ancora dell'attacco alieno; si arriva così al finale magistrale e desolante con l'impressione di aver testimoniato una tragedia classica, più che un horror disimpegnato, complici le musiche di un Morricone mai così avvilito.
Imprescindibile per gli amanti delle atmosfere suggestive o dei contenuti significativi, come per quelli del gore più sfrenato e dell'azione cupa e spettacolare.