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sabato 13 marzo 2010

La Cosa (1983)


Negli anni Zero, a furia dei vari "Texas Chainsaw Massacre", "Nightmare on Elm Street" e così via la pratica di rifare i classici dell'horror è stata, se non accettata, perlomeno imposta con la semplice quantità. Tre decenni prima, se ti cimentavi con un "testo sacro", un qualche merito aggiuntivo alla tua opera lo dovevi pur apportare: il conferimento di una nuova direzione alla trama, la reinterpretazione del sottotesto sociopolitico dell'originale, per dire. Era una faccenda seria. E anche se producevi materiale in grado di competere con la fonte, ti beccavi le roncolate dei critici filiologi.
Reduce dal successo di "Fuga da New York", John Carpenter firmò la sua rielaborazione radicale di "La Cosa da un Altro Mondo" e fu accusato di sciatteria e superficialità: il remake andò male al botteghino e l'autore fu retrocesso per sempre alla produzione di film di serie b. Hubris? No, una passione sconfinata per il capostipite filmico e al contempo per il racconto alla comune base, "Chi Va Là?" di John Campbell. Così il prode Carpenter rimase fedele alla trama del secondo, rendendo "La Cosa"- 1982 un lavoro perfettamente prescindibile dal modello targato 1951 e il suo carotone spaziale.
Antartide, 1982: un organismo alieno atterrato 100.000 anni fa giace tra i ghiacci finché un team norvegese non lo scopre e ridesta; è un simbionte, capace di fagocitare e replicare l'aspetto delle sue vittime, eliminando così buona parte degli esploratori e spingendo i superstiti ad un massacro interno fomentato dalla paranoica incertezza delle apparenze. Quando la creatura si sospinge fino all'avamposto americano nelle vicinanze, ricomincia la partita con il genere umano, segnatamente l'elicotterista Jim McReady (Kurt Russel) e il Dottor Blair (Wilford Brimley); stavolta il suo obiettivo successivo all'assimilazione è ripercorrere all'indietro la rotta dei rifornimenti fino alla civiltà.
Questa versione è un capolavoro di tensione, meritevole di prestigiose retrospettive da parte della critica pentita, oltre che del culto di una vasta comunità di appassionati casalinghi, grazie alla rara fusione ottimale di tutti gli ingredienti. Una regia e un montaggio in stato di grazia impostano la storia come un avvincente western dove l'assedio pellerossa al fortino è rimpiazzato da una minaccia proteiforme e silenziosa che si insinua fra e dentro gli uomini: peggio del coevo "Alien" è capace quando scovata di violentare i corpi ospiti fino a convertirli in grottesche armi organiche da brandire contro gli umani; e gli effetti speciali in lattice e pistoni idraulici reggono ottimamente ancora oggi, spezzando l'impostazione rigorosamente classica delle inquadrature del maestro Dean Cundy con lampi di caos visivo allucinante. Ma ciò che la imprime nella memoria è il messaggio incredibilmente nichilista per un film di genere, libero da ogni compromesso accomodante con il pubblico: la curata sceneggiatura di Bill Lancaster e il gioco di squadra dell'ottimo gruppo di attori rivelano come la squadra americana, e di riflesso l'umanità tutta, sia percorsa da una negatività nei rapporti che si rivela il fattore cruciale della sua rovina, prima ancora dell'attacco alieno; si arriva così al finale magistrale e desolante con l'impressione di aver testimoniato una tragedia classica, più che un horror disimpegnato, complici le musiche di un Morricone mai così avvilito.
Imprescindibile per gli amanti delle atmosfere suggestive o dei contenuti significativi, come per quelli del gore più sfrenato e dell'azione cupa e spettacolare.